Referendum sulla giustizia: ovvero come eseguire un’operazione di microchirurgia con un machete. Nel senso che intervenire su una materia così scivolosa e così importante – sia per ognuno di noi che per l’equilibro dell’intera società – con cinque referendum abrogativi è un’operazione molto più politica che legislativa. Ma tant’è.
Vediamo allora uno per uno i quesiti proposti da Lega e Radicali per i quali andremo a votare il 12 giugno (per alcuni cittadini, piacentini compresi, insieme con le elezioni amministrative).
Abolizione della legge Severino (scheda rossa).
Prevede l’incandidabilità e/o la decadenza dei ministri e parlamentari se condannati in via definitiva per determinati (gravi) reati. È grazie all’applicazione di questa legge, che prende il nome dalla sua proponente, l’ex guardasigilli Paola Severino, che Berlusconi era stato cacciato dal Senato. Le lamentele dell’ex premier (che ci sembravano fondate) riguardavano il fatto che veniva colpito anche chi era stato condannato, come lui, prima dell’approvazione della legge. E il sistema penale prevede che una norma non sia applicabile in via retroattiva. Ma la Corte Costituzionale, investita del problema, ha dichiarato legittima la norma che oggi passa al vaglio referendario.
Limitazione delle misure cautelari (scheda arancione).
Il quesito è difficilmente intellegibile (come quasi tutti) perché si chiede l’abrogazione “dell’ultimo inciso dell’art. 274 del codice di procedura penale” in materia di esigenze cautelari. In italiano? Oggi un indagato può essere arrestato se concorre uno di questi tre requisiti: pericolo di fuga, pericolo di inquinamento delle prove, pericolo di reiterazione del reato. È su quest’ultima fattispecie che si sono incentrati gli strali dei referendari che affermano che questa motivazione è diventata la più gettonata e che ha praticamente perso ogni validità. Ora, è vero che quando un sindaco viene raggiunto da un avviso di garanzia per fatti corruttivi e si dimette, il rischio di commettere altri reati della stessa specie diventa assolutamente aleatorio. Ma se si tratta di rapina o di stupro come si può escludere la reiterazione?
Separazione delle carriere dei magistrati (scheda gialla).
Ed eccoci ai tre quesiti che, riguardando direttamente i magistrati, sono i più criticati (dalla classe dei magistrati, ovvio). La separazione delle carriere, vecchissimo cavallo di battaglia di Berlusconi, impedisce a chi è “nato” pubblico ministero di diventare giudicante e viceversa. Partiamo da un presupposto: sia i Pm che i giudici devono essere laureati in giurisprudenza e aver superato un concorso statale. Una volta diventati magistrati, spetta a loro scegliere se chiedere di entrare nella magistratura giudicante o in quella requirente. Il motivo di fondo del referendum è di evitare le “porte girevoli” con magistrati che possono ogni tanti anni passare dalla Procura al Tribunale. Come mai? Perché chi ha proposto il referendum ritiene che questa “commistione” faciliti i rapporti tra giudice e accusa, a detrimento della figura e della funzione dell’avvocato difensore. Chi è contrario alla modifica (come chi scrive) ritiene che i migliori rapporti tra pubblica accusa e giudicante derivino dalla loro comune appartenenza alla “casta” dei magistrati togati e non dalla loro funzione. In oltre 40 anni di tribunale abbiamo visto ottimi Pm diventare ottimi giudici e viceversa. E se un giudice era scarso, lo rimaneva sia in Procura che in Tribunale. In più, il passaggio da un ruolo all’altro ha sempre migliorato il magistrato, che assumeva una mentalità più completa (i puri giuristi la chiamano “cultura della giurisdizione”).
Partecipazione dei membri laici ai voti dei Consigli giudiziari (scheda grigia).
Presso ogni Corte d’Appello (più o meno in ogni capoluogo di regione, oltre che a Brescia, Lecce, Salerno, Messina e Caltanissetta) è istituito un “consiglio giudiziario” composto da giudici, avvocati e professori universitari di materie giuridiche. Tali consigli valutano il lavoro di ogni singolo magistrato, proponendo se del caso la sua promozione. Fino ad oggi hanno diritto di voto solo i magistrati. Il referendum propone che anche avvocati e professori possano votare le valutazioni dei magistrati. Il Pm Nicola Gratteri, qualche giorno fa, ospite di Lilli Gruber, a 8 e mezzo su La7 tuonava contro il quesito: “Se ho appena sequestrato l’azienda di un mafioso, difeso da un avvocato che fa parte del consiglio giudiziario, e questo avvocato mi ferma dicendo che ha presentato istanza di dissequestro aggiungendo: ‘domani dovrò votare per la sua valutazione’ come andrà a finire? Dove finirà la mia indipendenza?”.
Il caso ci sembra davvero limite (e comunque quell’avvocato avrebbe commesso un paio di reati in flagranza davanti ad un Pm noto per la sua solerzia) e non tale da inficiare il quesito (al quale siamo favorevoli). Oppure facciamo una bella cosa: siccome fino ad ora agli esami di avvocato imperversano giudici e professori universitari – oltre ad avvocati scelti dal loro Consiglio dell’Ordine – stabiliamo che gli esami di Stato degli avvocati siano celebrati solo dagli avvocati e chiudiamo l’incidente.
Abrogazione delle norme relative alle elezioni del Csm (scheda verde).
È il quesito più semplice ma più insidioso. Dice solo che i giudici che intendono candidarsi al Consiglio superiore della magistratura non avranno più l’obbligo di raccogliere tra le 25 e le 50 firme. Lo scopo sarebbe quello di ridurre lo strapotere delle correnti della magistratura le quali, oltre a governare il Csm secondo rigidi schemi correntocratici, hanno provocato il disastro degli ultimi mesi. Il nostro parere è che si tratta dell’ennesimo “pannicello caldo” senza alcun effetto reale.
Anche se i referendum sono associati alle elezioni comunali, dobbiamo ricordare che gli italiani chiamati al voto amministrativo saranno circa 10 milioni, dei quali risponderanno circa la metà. Il traino delle Comunali, dunque, non è certo sufficiente a portare alle urne quel 50% più uno del corpo elettorale nazionale necessario per superare il quorum. Insomma, è forte il rischio che non si raggiunga il quorum, cosa che rende inutili i referendum. E, come sempre, nella terra dei Gattopardi, non cambierà niente, senza neppure dover scomodare Tomasi di Lampedusa e il suo “tutto deve cambiare perché tutto resti come prima”.
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